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Posts Tagged ‘sierra leone’

In questo inizio 2011 proponiamo a tutti voi la testimonianza di Martina, una delle ragazze del nostro Oratorio, che qualche mese fa ha partecipato ad un viaggio missionario in Sierra Leone, insieme ad altri giovani della nostra Diocesi. L’esperienza unica che Martina ha vissuto, a stretto contatto con uno dei Paesi più poveri della Terra, traspare dalle sue parole e dalle emozioni che descrive!

Credo che questo breve viaggio in Sierra Leone sia stato il viaggio più bello e significativo della mia vita. Ho avuto modo di conoscere delle realtà che oltrepassano l’immaginazione umana e le mie prime reazioni di fronte a queste realtà erano di totale silenzio, esteriore oltre che interiore. Non parlavo anche perchè non sapevo cosa dire, niente di quello che potessi vivere dentro di me poteva essere espresso se non con l’esternazione di emozioni contrastanti e decisamente amplificate. Sentimenti di estremo stupore, gioia, ammirazione, gratitudine… nel vedere la forza e il coraggio di queste persone, soprattutto i giovani, nel volersi rialzare dopo anni di guerra che li ha devastati. Nel vedere la vitalità che hanno e che manifestano attraverso la loro accoglienza, i loro sorrisi e contemporaneamente sentimenti di sconcerto, disagio, inutilità, estrema povertà.

Ho percepito l’umilità di quel popolo, di quella terra, la sua semplicità, genuinità e allo stesso tempo ne ho sentito tutta la grandezza d’animo, tutta la ricchezza che ha dentro di sé… mi sono sentita l’essere più piccolo e più grande della terra, perchè in quella povertà si è rivelata ai miei occhi tutta la potenza dell’amore di un Dio che non si dimentica di nessuno! Spero di ritornarci un giorno… col progetto che il Signore vorrà affidarmi!

Attraverso le parole di Martina, la redazione di Sulla Via augura a tutti voi – in questo giorno dell’Epifania del Signore (anche Giornata dell’Infanzia Missionaria!) – un 2011 di Pace!

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Con sommo ritardo – e ce ne scusiamo con i lettori del nostro blog – pubblichiamo l’intervista al nostro Vescovo, Mons. Marcello Semeraro, realizzata qualche mese fa, in prossimità della Pasqua. Cogliamo l’occasione per segnalare a tutti il Convegno che la nostra Diocesi sta celebrando in questi giorni. Sul sito www.diocesidialbano.it potrete trovare, già a partire dai prossimi giorni, tutte le relazioni, le immagini e i contributi.

In occasione della Pasqua, ci siamo recati ad Albano, ad intervistare il nostro Vescovo, mons. Marcello Semeraro.

Nella Pasqua la Chiesa celebra la Salvezza che Gesù, attraverso la sua Resurrezione, opera per ognuno di noi. Ma da cosa ci salva Gesù oggi?

«Credo che innanzitutto Gesù ci salvi da noi stessi. A volte mi pare che l’uomo possa essere paragonato a un essere vivente che progressivamente, giorno dopo giorno, si crea sulla pelle una sorta di crosta, qualcosa di duro che lo rende impenetrabile ed impermeabile, un guscio di difesa che ci faccia apparire duri nei confronti degli altri o forse resistenti agli attacchi degli altri. C’è anche in questo l’altra faccia della medaglia: quello che a volte noi ci creiamo addosso per protezione è in realtà quello che ci chiude, quello che ci arrocca sulle nostre certezze. Perciò io credo che la Resurrezione possa essere la forza infinita di amore che è capace di far crollare, di infrangere tutte quelle difese che ci rendono chiusi ed impenetrabili gli uni agli altri. È una forza che ci apre alla relazione e all’incontro, è sempre una forza vivificante».

Sappiamo che è appena tornato da un viaggio in Sierra Leone, nella diocesi “sorella” di Makeni. Cosa ha significato per lei questo viaggio, con che cosa è tornato?

«Per un verso è stato un viaggio di fraternità: le chiese sono sorelle  fra di loro, così come noi siamo fratelli. Con il tempo abbiamo sviluppato nei confronti della Chiesa di Makeni, una vera e propria catena di aiuti: dalla costruzione di un ospedale, alla costruzione di  pozzi, dall’edificazione di alcune scuole, all’adozione di bambini, fino all’invio di macchine o medicinali per interventi chirurgici.

Poi, però, non sempre ci capita di incontrare i volti e le persone. La grande ricchezza della diocesi sierraleonese sono i catechisti, i bambini, gli insegnanti: volevamo guardarci negli occhi! Per questo è stato un viaggio di fraternità. Abbiamo bisogno di alimentare con le relazioni vive il bene che possiamo fare anche con interventi economici e di altro genere.

Le seconda caratteristica di questo viaggio è stata la sua dimensione penitenziale. Mi sono reso conto, infatti, che tutta quella povertà che incontravo passo dopo passo non era stata creata da Dio. Dio ha creato la Sierra Leone bella, piena di acqua, ricca di risorse (simile, in un certo verso, al nostro territorio, ricco di laghi, ricco di colli, la sua natura così feconda di bene per gli uomini). La Sierra Leone è stata colpita da una dolorosa guerra civile che ha visto coinvolti anche nostri sacerdoti: anche il mio predecessore monsignor Bernini è rimasto bloccato per qualche tempo nella Sierra Leone.

Tuttavia la Sierra Leone è stata resa povera molto tempo prima: ho ricordato, allora, come quella terra fosse abitata da uomini e donne, deportati e sfruttati proprio da europei e cristiani. E che poi, quasi come fossero oggetti dei quali bisognava liberarsi, sono stati riportati in quelle terre. La cosa stupefacente è che con la massima ipocrisia sono stati chiamati poi “uomini liberi”: lo dimostra il nome dato alla capitale della Sierra Leone, Freetown, che in inglese significa proprio “città libera”. Ma anche quello di Liberia, dato ad uno stato vicino. Di quale libertà si è trattata?

Allora ho capito che tutto ciò che noi pensavamo fosse “beneficienza”, acquistava anche il volto di una restituzione. Si tratta probabilmente di una restituzione forse impossibile, però con la carità si può restituire la dignità, che i nostri antenati, i nostri padri hanno tolto a quegli uomini e a quelle donne».

gli intervistatori con il Vescovo Marcello

«Innanzitutto vorrei dire – è una cosa che ripeto spesso a me stesso e che ricordo ai laici e ai sacerdoti che incontro – che è proprio in quegli impegni, è proprio nel servizio che mi viene chiesto, è proprio nella dedizione a questo lavoro che io come Vescovo mi santifico! E nel Concilio è ricordato ai fedeli laici che, in forza del sacerdozio battesimale, un laico, un professionista, una mamma di famiglia, un operaio, un contadino, un insegnante nella scuola o un politico si santificano nell’esercizio onesto del loro lavoro, secondo verità, giustizia e carità.

Per cui la santità non è qualcosa che sta al lato dell’impegno quotidiano: nelle ventiquattro ore che mi portano a riposare, a lavorare, a svagarmi e divertirmi, a intrattenere relazioni, la santità non è qualcosa che si costruisce parallelamente a tutto questo, ma è dentro tutte queste cose! E credo che la stessa cosa debba valere per il Vescovo, per un sacerdote: è quindi fare bene il mio ministero che io devo trovare e cerco di trovare il luogo della mia santificazione.

Anche per me vale quello che diceva San Francesco di Sales “non ci sono dei ministeri in cui non sia possibile santificarsi”. Quindi anche io cerco di esser santo, pur con tutta la mia debolezza umana, con il mio entusiasmo e con il mio impegno. Questo non significa però che io non debba ritagliare all’interno delle mille attività (sebbene gran parte di queste attività siano delle celebrazioni liturgiche, quindi degli eventi spirituali, degli incontri di meditazione) degli spazi di silenzio e di particolare riflessione. E un po’ per i ritmi della mia giornata, io cerco di ritagliarmi questi spazi la sera, quando sono generalmente finite le attività. Sto un’ora nella cappella a pregare, in modo tale da poter respirare nell’incontro con l’Eucarestia quell’aria pura di cui ho bisogno. Credo che questo spazio quotidiano sia necessario ad ogni sacerdote e ad ogni cristiano: per me è un’ora, per altri possono anche essere dieci minuti o un quarto d’ora».

Il messaggio del Papa per la GMG di quest’anno parte dall’incontro di Gesù con il giovane ricco. «Una cosa sola ti manca…» dice Gesù al giovane, nell’ultima parte del dialogo. Cosa manca a noi giovani oggi, secondo Lei, per vivere una vita piena?

«Io credo che ai giovani di oggi manchino quelle cose che noi adulti non diamo loro.  Un giovane non ha, nella propria vita, delle “carenze”. La vita di un giovane è come un recipiente aperto, un vas electionis avrebbe detto San Paolo, un contenitore “in cui viene riversata grazia su grazia”. Il giovane è questa realtà aperta, ha ricchezze ed energie che gli sono proprie, in quanto persona umana, figlio di Dio, creato a sua immagine, ma a motivo dell’età che sta vivendo, tutta protesa verso il futuro. Ciò che manca ai giovani è ciò che noi adulti non intende dare loro e non è più capace di dare».

Al Vescovo va il nostro grazie e l’augurio di un buon lavoro!

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